Donato Lanati, da sempre appassionato di scienza ed enologia e profondo estimatore di figure che hanno contribuito alla storia del vino, rende omaggio a Federico Martinotti, geniale innovatore monferrino a cui si deve l’omonimo metodo di vinificazione, oggi tra i più diffusi al mondo.
In occasione del centenario della morte di Martinotti (2 luglio 1924), Lanati ha scoperto una preziosa raccolta di 40 lettere inedite, ingiallite dal tempo e mai pubblicate prima, scritte di pugno dall’enologo e indirizzate ad Arnoldo Strucchi della Gancia, azienda pioniera degli spumanti italiani con cui Martinotti collaborò dal 1898 al 1910.
Queste lettere rappresentano una testimonianza di eccezionale valore, offrendo una finestra unica sul pensiero di Martinotti e svelando i principi fondamentali che guidavano il suo lavoro: onestà, correttezza e rigore scientifico.
Colui che diede vita alla nuova storia delle bollicine, depositando il brevetto “Metodo di spumantizzazione in grandi contenitori” il 3 agosto del 1895 (15 anni prima di Eugène Charmat), fu dunque Martinotti, scienziato, chimico, enologo, divulgatore, inventore, tecnologo e genio originario di Villanova Monferrato il 3 giugno del 1860. Gentiluomo capace di superare i limiti temporali dell’epoca, dettati dalla scarsità degli strumenti a disposizione rispetto ad oggi, cambiando letteralmente la storia delle bollicine nel mondo.
È noto che, in Italia, la produzione industriale degli spumanti iniziò verso il 1860 nella regione di Canelli, dove, per merito di qualche pioniere, primo tra tutti Carlo Gancia, si cercò di produrre l’Asti Spumante: il primo spumante esclusivamente italiano, rispetto a un metodo che dagli aromatici si estese anche ai secchi.
“Martinotti fu geniale nel trovare soluzioni adatte a contenere la pressione degli spumanti. La sua intuizione fu quella di arrestare la fermentazione al momento giusto, tramite la refrigerazione, che si raggiunge portando il vino a 4/5 gradi sotto lo zero“.
“Martinotti non solo progettò serbatoi capaci di mantenere la pressione, ma individuò anche un metodo fisico (il freddo) che, rispettoso della qualità del vino, arrestasse la fermentazione alcolica” precisa Lanati. “La sua autoclave era infatti a doppia parete, con l’intercapedine che serviva a far circolare un liquido refrigerante necessario per abbassare la temperatura del vino fino ai gradi desiderati (gli originali dei disegni costruttivi di Martinotti compongono la preziosa documentazione ritrovata in Gancia)“.
Ma le sue sperimentazioni andarono ben oltre, spaziando dall’analisi dei costituenti dei vini al perfezionamento dei metodi stessi. Martinotti fu anche un grande divulgatore (organizzò corsi rapidi di enologia e di istruzione agraria che dispensò in forma itinerante la domenica mattina), un giornalista e un uomo di intuito. In lui fu sempre molto presente e importante l’attenzione alla sostenibilità economica e sociale delle aziende, come dimostrato dal suo costante impegno nel risolvere i problemi pratici del quotidiano, ricorrendo a soluzioni il meno dispendiose possibili per gli agricoltori.
E se è vero che i francesi dovrebbero dare qualcosa ai tedeschi e agli inglesi per i loro Champagne, “il mondo intero dovrebbe riconoscere al Monferrato e al Piemonte la paternità di tutti gli spumanti italiani“.