Torino e il Piemonte si muovono lentamente fuori dall’impasse che ha colpito la ristorazione negli ultimi anni. Il settore mostra segnali di ripresa, seppur fragili, alimentati da una rete imprenditoriale che continua a puntare su competenze solide e su un’organizzazione sempre più professionale. A delineare lo stato attuale è il Rapporto 2024 di Fipe-Confcommercio, con dati raccolti da Epat Ascom Torino.
Nel 2024, in Piemonte la spesa complessiva per il consumo alimentare fuori casa ha sfiorato i 6,5 miliardi di euro, contribuendo alla crescita nazionale dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Un incremento che, pur restando inferiore ai livelli registrati prima della pandemia, restituisce un segnale incoraggiante in un contesto ancora complesso.
L’intero comparto coinvolge 22.868 pubblici esercizi distribuiti sul territorio regionale, di cui oltre 12.000 tra Torino e provincia, e impiega complessivamente 68.668 addetti, con 30.801 solo nell’area torinese. Numeri che confermano la centralità economica del settore, pur a fronte di una situazione strutturale instabile.
La vitalità imprenditoriale non riesce a compensare il tasso di chiusura delle attività. Nel solo 2024, nella provincia di Torino si sono registrate 836 nuove aperture, ma con 2.000 cessazioni, per un saldo negativo che evidenzia le difficoltà di tenuta economica. Nella città di Torino, la situazione è ancora più netta: 424 nuove imprese contro 1.055 chiusure.
«Confermati i trend del settore, a Torino e provincia – sottolinea Vincenzo Nasi, presidente di Epat Ascom –. Il 2024 si è rivelato un anno con il segno più e lo dobbiamo innanzitutto agli imprenditori che fanno della professionalità e della competenza il valore principale. Come in tanti altri settori anche la ristorazione si trova ad affrontare costi di produzione e di gestione decisamente alti, ai quali potrebbe aggiungersi il carico dei dazi. Da sottolineare, a questo proposito, che i ristoranti hanno aumentato i prezzi mediamente del 14%, mentre l’inflazione generale è superiore al 15%».
A livello nazionale, il numero degli occupati nel settore ha superato 1,5 milioni, con una crescita del 6,7% rispetto all’anno precedente. Circa 70.000 lavoratori in più, un dato che rivela una certa dinamicità del mercato del lavoro. Interessante l’evoluzione anagrafica: il 39,7% della forza lavoro è under 30, ma sono gli over 50 a registrare l’incremento più significativo (+10%), riflettendo il cambiamento demografico in corso nel Paese.
Resta però difficile reperire personale con un adeguato livello di preparazione. Le imprese faticano a trovare figure con competenze consolidate, e il divario tra ciò che il mercato richiede e ciò che l’offerta è in grado di garantire continua a crescere.
«È evidente l’enorme criticità del personale nei ristoranti e nei bar – aggiunge Nasi – e a questo si aggiunge la concorrenza sleale da parte di realtà terze che offrono contratti ‘pirata’, mentre le nostre imprese applicano il contratto collettivo nazionale. Personale di sala e chef preparati seri e professionalmente qualificati sono la carta vincente di chi sta determinando la ripresa del settore».
Il quadro generale invita a guardare avanti con cautela, ma anche con determinazione. Il comparto ha bisogno di politiche concrete, in grado di sostenere la ripartenza attraverso strumenti di stabilizzazione dei consumi e valorizzazione del comparto, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e culturale.
«Per uscire dall’empasse e recuperare punti di crescita – conclude Nasi – occorre attuare politiche che stabilizzino i consumi e diano immagine ad un settore che è fondamentale per l’economia italiana e per la vivibilità del nostro Paese. È chiaro che tutto ciò si lega al volano turistico che anche per la nostra città appare una vera chance ed alla capacità di spesa dei cittadini più forte in provincia che nel capoluogo».